jueves, 13 de agosto de 2009

Piccola storia di un incontro.

'Mi trovavo alla Fondazione Marconi di Milano per assistere alla pre-inaugurazione della mostra “Baj Mobili Animati”. Da lì a poco avrei scoperto che Germano Celant aveva deciso di ringraziarmi sul preziosissimo volume edito da Skira che accompagnava la mostra. La cosa mi piaceva, anche se, detto tra noi, non è che avessi fatto granché. Un’altra novità mi incuriosiva. Osservavo Alice, nuova arrivata in casa Baj, già protagonista della serata, a suo agio mentre passava dalle mani della nonna e quelle di Andrea. La mostra di mobili era strepitosa. Ma questo non stupisce. Sembrava quasi di sentire la voce di questi oggetti antropormorfi. La voce che ti chiede di aprire un cassetto o, più semplicemente, di riempire il palmo della mano con un bel pomello sferico, per avere una grattatina al naso. Purtroppo non potevo dividere questa esperienza con Laura perché lo studio l’aveva tenuta lontano da Milano. Roberta Baj e Giorgio Marconi erano molto indaffarati. E io vagavo per la sala. È qui che ho conosciuto Claudio Onorato.
In una sorta di mondo dei balocchi per chi ama l’arte, diciamo che ci siamo inevitabilmente trovati. Mi ha incuriosito da subito il suo fare un po’ dinoccolato accompagnato da uno sguardo sereno e vitale. Abbiamo chiacchierato a lungo estraniandoci dal mondo circostante. A fine serata Claudio mi ha regalato un libro. Un bel libro. Erano i suoi lavori. Quel libro l’ho sfogliato una prima volta un po’ di fretta, mentre guidavo tra Milano e Padova, rincasando quella stessa sera. Le sue opere viste così, in macchina, appoggiate sul sedile dell'auto e con un occhio sulla strada, non mi parlavano. Lo ammetto. Erano lì immobili e, senza respirare, aspettavano che girassi pagina. A volte capita che l’interesse del gallerista finisca così. Ma questa volta è arrivato il tempo per guardare con calma e cercare di capire. Così la mia attenzione è stata catturata da un particolare: fotografia a pagina 37, “Mare di Carta”, installazione presso lo Spazio Tadini a Milano. Una piccola foto in bianco e nero che può cambiare tutto. Una foto che mi smascherava amaramente. Perché non avevo capito nulla del suo lavoro. Mi sentivo come quello che invece di guardare la Luna in cielo guarda il dito. E così non avevo dato il mio tempo alle opere e le opere lo avevano capito. E non avevano parlato. Proprio come quei mobili di Baj che per vivere devono trovare le orecchie dello spettatore. Ora però sento la voce. La voce di un menestrello moderno capace di incantare e sorprendere ogni spettatore con i suoi ricami e le sue vicende che si rincorrono su brandelli di carta risparmiati dal taglierino. Una voce sapiente che con disinvoltura e leggerezza ci guida in mondi ovattati, abitati da personaggi sottratti alla nostra fantasia e alla nostra infanzia, richiamati dal nostro passato per ammorbidire racconti difficili, che parlano di guerra e denaro, capitalismo e arrivismo, equilibri sociali precari e mostri del nostro tempo come terrorismo e mafia. Una voce ironica e tagliente che tra gioco e verità racconta il nostro tempo. Un racconto che mi auguro possa essere ascoltato a lungo qui a Milano tra le pareti di Anfiteatro'.

Mattia Munari, gallerista.
26 maggio 2009.

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